Ho finito di leggere il libro di Mena Chironi sulla storia del Convento dei Frati Minori di Orani e tornano alla mente ricordi della mia infanzia, quando parte dell’ex convento era utilizzato come scuola elementare. Di quelle aule, dove ho frequentato la terza e la quarta elementare, ricordo la scarsa luce dovuta ai muri spessi e alle finestre con inferriate, adatte per un convento di frati e non certo per una scuola elementare.
Era la nostra una classe numerosa (come d’altronde a quel tempo lo erano tutte), naturalmente esclusivamente maschile dove non mancavano i "ripetenti" di uno, due e qualche volta tre anni più grandi rispetto a noi "regolari". In questa situazione avevamo a che fare con maestri non proprio "delicati" nel metodo didattico che, spesso, ricorrevano a sistemi educativi abbastanza decisi.
Della maestra Oppo, insegnante di prima elementare, ho un vago ricordo, quasi angelico: non so se sia una idealizzazione da bambino, ma la ricordo alta, bionda e con gli occhi chiari.
In seconda e terza fummo affidati alle cure del maestro Ticca che, seppur severo, riusciva ad essere simpatico e cordiale.
Ricordi più precisi sono, invece, quelli di quarta e quinta elementare con il maestro Attilio Foddis. Già l’aria incuteva paura: viso arcigno, baffi severi e occhiali scuri. E’ vero che la classe non era composta di veri e propri stinchi di santo, ma il maestro Foddis non era quello che si suol dire un tipo paziente. Per farsi intendere alzava spesso la voce e, ogni tanto, ci scappava anche qualche tirata di orecchie. Io, tutto sommato, non ho mai avuto grossi problemi in quanto a scuola andavo bene, ma qualche compagno di quegli anni ha sicuramente ricordi diversi di quel maestro. Il maestro Foddis era un tipo deciso e sicuro nel farsi intendere. Ricordo che Michele Columbu, allora sindaco di Ollolai, marciò a piedi sino a Cagliari per protesta contro la regione e contro la sua politica; durante il tragitto faceva una sosta e un comizio in tutti i paesi che attraversava. Quando passò ad Orani, ad accoglierlo in piazza erano schierati, con le autorità, tutti i bambini delle scuole. Tutti, esclusa la mia classe. Ricordo ancora il "comizio" che il maestro ci fece in classe contro l’iniziativa di Columbu, mentre dall’esterno giungeva l’eco degli applausi rivolti al "marciatore".
Con il maestro Foddis vivevamo momenti di panico quando decideva di farci svuotare le tasche sulla cattedra e, per stroncare i traffici sottobanco, ci sequestrava figurine e quant’altro portavamo a scuola per mercanteggiare. Ho ancora impresso il salto dalla finestra spiccato da un compagno di classe che si rifiutava di consegnare le figurine: pur di non cedere scelse di "evadere".
Finita la quinta tutta la classe fece una colletta è regalammo al maestro una statuetta in ceramica raffigurante due omini in costume sardo. Che io ricordi è stata una delle poche volte in cui il maestro Foddis abbia accennato un sorriso.
Dei maestri delle altre classi che in quegli anni insegnavano a Orani, ricordo il maestro Serra che tutti invidiavamo per la sua simpatia e cordiale allegria e un maestro Carzedda, famoso soprattutto in quanto, per richiamarci all’ordine, era solito prenderci per la basetta e, garantisco, la cosa non era molto gradevole. Particolarmente "impressa" mi è rimasta la maestra Lina Pes. In terza elementare, dopo che mi ero divertito con la pompa dell’acqua a bagnare dalla testa ai piedi due sue allieve, fu la sua mano che rimase impressa sulla mia guancia, con un effetto tutt’altro che di carezza.
Ma quello che tra tutti, forse, godeva le maggiori simpatie era il maestro Pietro Giglioli, che ci divertiva per la sua parlata toscana caratterizzata dalle "C" aspirate, pur essendo trapiantato da tanti anni in Sardegna.
Ricordo che una volta venne a chiedere "in prestito" al maestro Foddis due alunni che sapessero cantare per far sentire alla sua classe come doveva essere interpretato l’inno da eseguire in occasione della Festa degli alberi. Fummo destinati io e il mio amico Tonino Crudu e, devo dire, assolvemmo al compito in maniera egregia. Il maestro Giglioli non la smetteva di elogiarci in maniera sperticata e si rivolgeva alla sua classe chiamandoli tutti "una massa di ‘aproni".
A Orani il maestro Giglioli era molto stimato, tanto che per un breve periodo è stato anche sindaco del paese.
Qualche tempo fa consultavo un libro alla stesura del quale contribuì anche il maestro Giglioli. Egli fece svolgere una ricerca ai suoi alunni e poi comunicò le notizie e le informazioni raccolte. Quelle notizie le ripropongo integralmente, convinto che a molti oranesi farà piacere ricordare Pietro Giglioli e, nel contempo, riscoprire usi e tradizioni da tempo dimenticati. Premetto che le notizie sono fedelmente trascritte dal libro e che, quindi, mantengono l’esatta grafia dei bambini, compresi gli errori e le parole in dialetto.
Notizie tratte dal libro "El mal del moc – I rimedi della nonna descritti dai bambini delle varie regioni d’Italia", a cura di Matizia Maroni Lumbroso, pubblicato a Roma dalla Fondazione Ernesta Besso nel 1968. Le notizie relative ad Orani, raccolte da Pietro Giglioli, sono pubblicate nel capitolo riguardante la Sardegna che va da pag. 285 a pag.334.
Nei tempi antichi ad Orani si usava curare certe malattie con rimedi non conosciuti dalla medicina. Per esempio la malva era usata per i gonfiori dei denti e le punture degli insetti, le foglie dei fichi d’india per il gonfiore dei denti, la corteccia della quercia bollita per asciugare le piaghe, le foglie dell’eucaliptus bollite per la malaria, l’olio di oliva bollito con la cera veniva usato come "tirasana" per pulire dal pus le ferite infette. L’olio d’oliva si usava anche contro le punture degli insetti come le api e le vespe. Il fumo di trementina per aspirare, le foglie dell’ulivo e "su gramine" per disturbi interni, le foglie delle fave ed il deposito dell’olio di lentischio per le scottature, il decotto d’orzo per il mal di gola.
Bronchite
Il fiore di sambuco veniva bollito e raffinato e poi passato in un pezzo di tela. L’infuso si beveva con un uovo o con zucchero.
Calcoli renali
Si fa un decotto di foglie secche di pomodoro nella misura di due manciate bollite in due tazze d’acqua. Si fa bollire fino al punto di ridurre a metà il liquido messo nelle tazze. Si deve bere il tutto durante la giornata.
Calli
Un tempo per curare i calli usavano una pomata fatta in casa così: 2 spicchi d’aglio e mezzo cucchiaino d’olio d’oliva. Mettere un po’ di medicina ogni sera, fasciare con una pezzuolina di tela. Il callo ammorbidendosi si staccava.
Calmante
Si prendono due grammi di foglie d’arancio e si mettono in un recipiente: si prendono 15 grammi di acqua, si fanno bollire e si gettano sopra le foglie. Si chiude il recipiente. Dopo un poco, quando il recipiente è già ghiaccio si beve l’infuso così fatto. Calma i nervi, facilita la digestione.
Coliche renali
Si faceva bollire il prezzemolo e si prendeva l’infuso ottenuto.
Mal di denti
"S’erva e ventu" si metteva a bollire e si formava un succo verde che si prendeva a boccate poi si sputava. Se il dente faceva male si usava mettere sopra un’erba chiamata "retdi", era tanto forte che se toccava un dente sano lo spezzava. Si curava anche con sale mischiato ad aceto.
Diarrea
Per curare la diarrea e la colica si faceva una medicina con un po’ di corteccia di quercia che veniva bollita con un po’ d’acqua. Se ne beveva un poco ogni due o tre ore.
Ferite
Si metteva sulla parte colpita "sa pedde cotta" un velo leggero che riveste le foglie di certi alberi.
Foruncoli
Mettevano sopra i foruncoli i fiori "de santu Iuvanne" oppure "fiore di sambuco".
Geloni
"Su marrusgiù" è un’erba che cresce in collina e fa bene ai geloni: si bolle e nell’acqua si mettono a bagno i piedi per cessare il prurito.
Gonfiori agli arti
"Su viore de su sarrecu" è una piantina non molto alta, cresce negli orti. Era una grande medicina per curare una gamba o un braccio gonfio. Si bollivano i fiori e si mettevano ad impacchi e così il gonfiore calava subito.
Magia malefica
Chi credeva di essere colpito da una magia malefica, faceva un falò bruciando delle foglie benedette: di olivi di palma ecc., poi passava sopra il fuoco credendo di lasciare lì la sua malattia, dopo il malato veniva fatto passare un gatto in modo che prendesse lui il male.
Malaria
"L’intrasinavia" è un’erba che cresce in collina nei posti asciutti. Veniva usata per curare la malaria. Raccoglievano i fiori, li bollivano e ogni mattina ed ogni sera l’ammalato ne prendeva un bicchierino bene addolcito. Così passava la febbre. Dopo aver preso una quantità di quel medicinale gli ammalati guarivano ma molti anche morivano.
Mal di pancia
Il "viore de chisina" (fiore di cenere) veniva usato per il mal di pancia. Un fiore veniva fatto bollire con la cenere e l’acqua e l’infuso si beveva. Si usava anche l’infuso di camomilla e l’aglio.
Polmonite
Uno che aveva la polmonite si lavava i piedi con acqua calda, poi appresso faceva degli impacchi di erba che noi chiamiamo "azzezzu" la metteva dentro un piatto con un po’ di brace, la legava a un tovagliolo e se la metteva dove gli faceva male il dolore gli passava subito.
Porri
Un rametto di vite si mette al fuoco. Da una parte brucia, dall’altra esce un succo che si mette sopra i porri, che ben presto spariscono.
Pressione sanguigna
Infuso ottenuto dalle foglie dell’aucaliptus o dell’ulivo.
Raffreddore
Per curare il raffreddore prima si usava l’erba chiamata "marma vaina". L’erba veniva bollita nell’acqua, poi al succo che si otteneva si aggiungeva del latte, il malato lo beveva e il raffreddore a poco a poco passava. Si usava anche far bollire i semi del melone e il vino bianco d’uva.
Spaventi
Chi aveva preso uno spavento andava da una certa donna. Per questa cura erano necessari un bicchiere d’acqua e tre pezzetti di carbone. Dopo diverse orazioni sempre stabilite (non se ne poteva dire né più né meno) si faceva bere l’acqua a chi aveva preso lo spavento. Quello si sentiva immediatamente guarito.
Stitichezza
Cuocere due mele nel vino con un po’ di zucchero si ottiene una pozione che, bevuta, ha proprietà lassative.
Mal di stomaco
"Erba de ventu" veniva bollita e data all’ammalato per curare lo stomaco.
Strappo muscolare
"Sa marma" si faceva bollire, poi l’erba si metteva sullo strappo.
Mal di testa
Si faceva bollire un’erba "istrisinavia" e si beveva a digiuno l’infuso.
Tosse
"Zinzaru" serviva per curare la tosse ed il mal di gola.
Vermi
Si prendono tre bulbi di aglio e si mettono in un recipiente. Si fa bollire del latte e si versa nel recipiente contenente i bulbi e indi si copre. Il succo così ottenuto si scioglie nella dose di 100 grammi in 200 grammi di acqua. Una volta sciolta, detta pozione deve essere bevuta a digiuno.
Erbe medicinali
Nei tempi antichi c’erano poche medicine e contro le malattie usavano erbe medicinali. Il papavero serviva per curare l’influenza, il seme di lino contro le febbri malariche, la camomilla contro il mal di pancia, la malva per curare infezioni, la menta per la tosse, il prezzemolo per curare le vie urinarie, su marruiu per calmare i dolori reumatici.
Con la malva curavano i foruncoli e col suo decotto facevano dei bagni agli occhi quando una persona li aveva infiammati. Era anche usata la camomilla. La camomilla ha un fiore bianco. Si mette a bollire con un po’ d’acqua, poi si beve una tazza di camomilla si sente subito bene. Nei tempi antichi curavano con le erbe ogni malattia.
L’erba di marruiu ad Orani era la più usata per i dolori. Mia nonna la usa ancora per tanti mali. Si trova ancora nel cimitero vecchio e molte persone vanno spesso a prenderla.
Un’altra erba medica è l’eucaliptus, che cresce ad albero. Per usarla, prima si fa bollire, poi si fa il bagno con l’acqua. E’ molto indicato per i reumatismi e per le artriti. Con la corteccia dell’albero della china si fa il chinino, usato contro le febbri malariche.
Angelo Mereu |