Nell'articolo di Angelo Mereu "Banditi, diligenze ed aule di giustizia", che ho letto con vivo piacere, è riportata una notizia, desunta dal libro di E. Corda "La legge e la macchia".
Essa ha risvegliato alcuni miei ricordi risalenti a quando, da bambino, mi facevo ripetere dai vecchi di casa "sos contos de sos bandidos mannos".
Si legge nell'articolo: "Tra i latitanti oranesi quello che ebbe maggiore fama fu Giovanni Noli-Coi noto per i proclami che era solito emanare". Uno di questi proclami riguardava una signora che io ho conosciuto e frequentato negli ultimi anni della sua vita. "Vieto nel modo più asoluto - vi si legge - di prendere in afito i terreni di Giovanna Piredda sotto pena di persecuzione". In un secondo proclama si parla di una certa Maria Potedda. In esso si intima all'Autorità di mettere in libertà la donna accusata del tentato omicidio di un non meglio precisato Siotto-Cuccu. Oggi ho più di un sospetto che tra i due "bandi intimidatori" - come giustamente li definisce Angelo Mereu - ci sia qualche legame; ma di questo tacerò, dato che si tratta, appunto, solo di "sospetti".
A proposito del primo proclama, Angelo dice di non conoscerne l'esito. Augurandomi di far cosa a lui gradita, nonché ai "curiosi" di cronaca oranese, mi permetto di renderli partecipi di alcune notiziole di cui sono a conoscenza. Prima, però, mi sembra opportuno dare alcune informazioni preliminari, al fine di agevolare il lettore nella comprensione dei fatti.
Diciamo, innanzitutto, che certamente E. Corda sbaglia quando parla di Giovanni Noli-Coi. In effetti il vero nome del Noli-Coi era Giuseppe ed era nato ad Orani nel 1879. Giovanna Piredda era la vedova di Luigi Siotto-Cuccu e madre di Daniele Siotto-Piredda, altro protagonista della vicenda di cui si parla. Dato che la signora Piredda rimase vedova giovanissima (poco più che trentenne) si risposò; Daniele ed un fratello andarono a vivere da uno zio paterno celibe, Antonio Siotto-Cuccu, che si prese cura anche del patrimonio dei due bambini.
La casa di quest'ultimo era frequentata anche da altri parenti. Dio sa se c'era bisogno anche di qualche mano femminile che sbrigasse le faccende domestiche in una casa abitata da tre uomini che lavoravano nell'azienda agro-pastorale familiare! Fu così che entrò in casa anche Tomasina (la chiameremo così, ma non son sicuro che questo fosse il suo vero nome). Anche lei era una nipote di Antonio Siotto-Cuccu essendo figlia di un figlio di una sua sorella e di quella Maria Potedda (che, in verità, si chiamava Forma) di cui si parla nel secondo proclama. Daniele Siotto-Piredda era, dunque, zio di Tomasina, anche se i due avevano pressappoco la stessa età.
All'epoca dei fatti, di cui si parla, anche Giuseppe Noli-Coi, lavorando nell'azienda dei Siotto, frequentava la loro casa. Pare che tra Giuseppe Noli-Coi e Tomasina non abbia tardato a sbocciare, come si diceva allora, una certa "simpatia". C'è chi dice che anche Daniele Siotto-Piredda nutrisse una certa "simpatia" per la ragazza. C'è anche chi, invece, sostiene una diversa versione dei fatti: che Daniele avesse una certa "simpatia" per Tomasina, egli voleva solo farlo credere a Giuseppe e, soprattutto, voleva che questi credesse che tale "simpatia" era ricambiata dalla ragazza. In effetti è certo che Daniele, per raggiungere il suo scopo, per far ingelosire il compagno, sottrasse a Tomasina, "pro brulla", un coltellino, regalatole da Giuseppe. Il 10 luglio 1898 (s'annu 'e sos bandidos), Daniele, il fratello e Giuseppe erano a "su Carta" (una "tanca" in territorio di Orani) e si preparavano a mangiare sotto una grande quercia posta davanti a "su pinnettu". Per tagliare il formaggio Daniele estrasse dalla tasca il coltellino sottratto a Tomasina; lo aprì, mettendolo ostentatamente davanti agli occhi di Giuseppe. La vista del coltellino rappresentò per Giuseppe una chiara provocazione (come riconobbero anche i giurati nel processo che seguì a questi fatti). Come mai il coltellino, che lui aveva regalato a Tomasina, era ora in mano a Daniele? Le fonti orali del fatto tacciono su ciò che i due si sono detti nel momento; non si sa se Giuseppe fece domande; le stesse fonti sono, però, precise nel dire che Giuseppe corse dentro "su pinnettu", afferrò il fucile e si lanciò all'inseguimento di Daniele che, intuendo il pericolo, aveva pensato bene di darsela a gambe. Ciò nonostante non riuscì ad evitare di esser raggiunto da una scarica di pallettoni. Da qui l'accusa a Giuseppe Noli-Coi di "mancato omicidio premeditato" - come recitano gli atti del processo celebratosi davanti alla Corte d'Assisi e apertosi a Nuoro il 16 novembre del 1900 - e la sua latitanza durata dieci mesi e tre giorni, essendo finita il 12 maggio 1899.
Solo due parole per ricordare il clima storico in cui si verificarono questi avvenimenti. Tale periodo è ancora vivo nella memoria degli anziani oranesi come "su tempus de sos Bandidos". Bande di latitanti seminavano il terrore nella zona con ripetute intimidazioni, estorsioni, grassazioni, tentati omicidi. Fu l'episodio descritto a spingere il Noli-Coi ad entrare in una di queste bande; si unì, infatti, - a quanto sostennero alcuni testimoni in un altro processo - ad altri due banditi: Antonio Manconi di Orani e Paolo Solinas di Sarule; nel biennio 1898/99 ci furono nella sola Orani 5 omicidi e ben tre oranesi morirono in carcere. E fu proprio un originario di Orani, Pietro Paolo Siotto, a convincere, dopo aver pagato ai banditi ingenti somme, il Presidente del Consiglio, generale Pelloux, ad intervenire per estirpare i banditismo, ricorrendo agli arresti in massa. Furono incarcerati, soprattutto, possidenti sospettati di favorire con le buone o con le cattive la latitanza dei banditi.
Nel processo per il tentato omicidio contro Daniele Siotto, il Noli-Coi fu difeso dall'avvocato di origine sarulese Giuseppe Pinna. La prima persona chiamata a deporre, in qualità di parte lesa, fu Daniele Siotto. E a questo punto ci fu una sorpresa. Recita il verbale del processo: "Si dà atto che le parti espressamente concordano nel riconoscere che Siotto Daniele non è nella causa né querelante né denunziante e perciò il Presidente l'ha sentito con giuramento." Anzi il Siotto nella sua deposizione, "ad istanza della difesa e d'ordine del presidente", afferma che fu proprio il Noli-Coi a portare la notizia dell'accaduto "in casa del Siotto Antonio, zio di Daniele col quale questo abitava". Si tratta di una circostanza indubbiamente favorevole all'imputato. Un fatto è certo: Daniele Siotto e Giuseppe Noli rimasero amici. E anche dopo il rientro di questi ad Orani, dopo i lunghi anni di carcere che dovette scontare per il reato in questione e per altri, i due intrattennero buoni rapporti.
Come si spiega allora il bando del Noli-Coi contro Giovanna Piredda, madre del Siotto? La donna non avrebbe condiviso mai l'atteggiamento del figlio nei confronti del Noli-Coi e a questi si dimostrò, anzi, sempre ostile. Il processo - come si è accennato - si concluse con la condanna del Noli-Coi. I giurati si dichiararono, a maggioranza, "convinti che l'accusato Noli-Coi Giuseppe… abbia…esploso due colpi d'arma da fuoco contro Siotto Daniele"; non riconobbero, però, al Noli di aver agito per legittima difesa ma nemmeno affermarono la "premeditazione": il Noli-Coi "commise il fatto… nell' impeto d'ira determinato da ingiusta provocazione", anche se tale provocazione non era stata "grave". In altre parole i giurati affermarono che la vista del coltellino fu sì una provocazione, ma non grave.
C'è da dire, a questo punto, che nello stesso dibattimento il Noli-Coi era accusato anche di un secondo tentato omicidio nei confronti di tale Antonio Mereu-Sini. Il movente, sostenuto dall'accusa, sarebbe stato il fatto che il Mereu si sarebbe rifiutato di pagare ai banditi quello che oggi si chiamerebbe "il pizzo". La Corte, nel comminare la pena al Noli-Coi, tenne conto del fatto che fu riconosciuto colpevole anche di questo secondo reato. Ecco la parte finale della sentenza:
La Corte
Visti, oltre i sucitati, gli art: 568 e 569 Proc. Penale e 6 della Legge 10 aprile 1892
Condanna Noli Coi Giuseppe alla pena della reclusione per la durata di anni ventuno e mesi sette, dichiarando che di questa pena sei mesi restano condizionatamente condonati a norma dell'art. 7 del R. Decreto d'Amnistia e d'indulto sopramentovato. Condanna lo stesso Noli-Coi Giuseppe alla interdizione perpetua dai pubblici uffici e all'interdizione legale durante la pena… Lo condanna infine al risarcimento dei danni verso le parti lese ed alle spese del procedimento in pro dell'erario dello Stato oltre alla tassa della presente in lire cento.
Nuoro il diciannove novembre 1900."
Il Noli ricorse in Cassazione, ma il ricorso fu respinto il 7 marzo 1901. E Giovanna Piredda si rifiutò sempre di dare il proprio assenso alla domanda di grazia presentata più volte dal Noli-Coi. Questi, scontata la pena, rientrò ad Orani dove morì in tarda età.
Pietrino Siotto |